Il Movimento Neo-Borbonico, benché il nome sembri suggerire altro, non è un movimento monarchico, né in linea di principio politico e nasce come associazione culturale in difesa dell’orgoglio sudista e del meridionalismo. Si allontana inoltre da posizioni separatiste e federaliste che ritiene inadatte e funzionali solo agli interessi del Nord.
Il presidente Gennaro De Crescenzo ha recentemente rilasciato un’intervista al Corriere della Sera, in cui ha chiarito le reali dimensioni e le radici del movimento. Fregiati del logo dei Borbone e di quello dei briganti, i membri del movimento sono attivi nell’ambito culturale, cercando di ridestare un senso d’identità comune sudista e impegnandosi in numerose ricerche storiografiche al fine di documentare il furto culturale ed economico che loro accusano essere stato compiuto ai danni dell’allora dominio spagnolo.
Non vi è dubbio che storicamente il dominio Borbonico abbia lasciato al Sud, e in particolare a Napoli, capitale del regno che fu, un segno indelebile e una memoria storica che serpeggia come la fresca brezza mattutina proveniente dal golfo, in ogni vicolo, palazzo antico e testimonianza culturale. Le nobili pagine di Pietro Colletta raccontano di una Napoli culturalmente attiva e propositiva nonostante l’occupazione straniera e pioniera di riforme e rivoluzioni istituzionali che ne fecero una delle roccaforti dell’illuminismo insieme al Granducato di Toscana di Pietro Leopoldo. Carlo I tra il 1735 e il 1759 istituì a Napoli numerose riforme istituzionali mai tentate fino ad allora, come ad esempio l’istituzione del catasto per la registrazione dei terreni e degli immobili al fine di combattere l’oppressione feudale di clero e piccola nobiltà locale che fermavano ogni tentativo d’evoluzione economica e sociale del regno.
La Napoli del 2012 è però ben lontana da quell’identità culturale comune che auspicano i meridionalisti, e che spesso con faziosità viene vestita con i logori abiti del separatismo e dell’odio intra nazionale, enfatizzando e snaturando la radice prettamente intellettuale da cui si auspica un risveglio comune. Non dimentichiamo che Napoli andò ben oltre le novità del regno, istituendo nel 1799 la Repubblica Napoletana, che, anche se solo per pochi mesi, fu uno degli storicamente più avanzati esperimenti di tecnocrazia illuminista e vide nelle maglie del suo governo tutti i più illustri intellettuali dell’epoca: dall’ammiraglio Caracciolo a Mario Pagano e Ettore Carafa.
La città costeggiata dal Vesuvio ha sicuramente bisogno di un’identità culturale comune che sia capace di schiacciare l’oppressione patologica della mancanza di cultura, che è il vero cancro che impedisce ai cittadini di uscire insieme dalla prigionia imposta dalla criminalità organizzata e dalla mancanza di senso civico. L’uovo nelle fondamenta del Castel dell’Ovo, su cui secondo la leggenda si regge l’intera città è una gemma di cultura e storia dimenticata e oscurata che se incastonata con le dovute cautele nelle auree membra di Napoli, può davvero aiutare l’intera città a risorgere, senza sfociare mai nel populismo e nell’odio che appartengono a quei movimenti separatisti che non fanno riferimento ad alcuna base culturale, ma solo alla sete di consensi.