Questo pomeriggio, su via dell’Abbondanza, un forte vento è stato in grado di staccare una porzione di un metro e mezzo d’intonaco dalla parete della Domus in cui è raffigurata la Venere in Conchiglia, un tempo colorato di rosso, oggi visibilmente sbiadito.
I frammenti sono stati recuperati dai tecnici della Sopraintendenza per essere ricollocati. La Domus colpita, è un edificio compreso nel piano “Salva Pompei” stipulato con l’Unesco, per il quale sono stati stanziati 105 milioni. In una nota, la Soprintendenza spiega che «questa mattina, a seguito delle cattive condizioni meteorologiche, si è constatato il distacco di una parte dell’intonaco di preparazione (circa 1,50×1,50 metri) di una delle pareti dell’atrio della casa della Venere in Conchiglia. Analoghi, circoscritti distacchi hanno interessato la superficie di rivestimento in cocciopesto grezzo di una delle pareti della fullonica ubicata nella Regio VI, insula 14, 22 (70 centimetrix1,50 metri) e di uno stipite situato lungo vicolo delle Terme Regio VII, insula VI (20×20 centimetri)».
Nonostante i tecnici della Soprintendenza, guidati dal direttore degli scavi, Antonio Varone, sono tempestivamente intervenuti per predisporre un intervento di ripristino da parte dei restauratori del locale laboratorio di restauro, che «garantirà il recupero pressoché totale dei paramenti», la situazione rimane davvero precaria.
«Pompei non è in emergenza, si sta sfaldando», afferma la giornalista e Senatrice Diana De Feo all’Adnkronos, parlando di «situazione gravissima perché i crolli non sono resi noti tutti, ma solo uno su nove viene denunciato». La De Feo denuncia la «mancanza di una vera squadra di manutenzione perché quella che c’è, composta da quattro persone che si devono dividere tra Pompei e l’area dei Campi Flegrei, è insufficiente». La senatrice annuncia un’interrogazione parlamentare al ministro Ornaghi per «sapere cosa c’è in cassa, quali sono i lavori e come è stato impiegato il denaro da un anno a questa parte». «Chiederò anche – conclude – che mentre partono le gare di appalto per i lavori previsti dal piano Unesco, si allestisca una squadra numerosa di operai per l’urgentissima manutenzione ordinaria».
La scorsa settimana, sempre il vento, unito alle piogge cadute nei giorni scorsi, aveva provocato il distacco di circa un metro di intonaco grezzo da un muro esterno al Tempio di Giove.
Alcuni frammenti di intonaco provenienti da un muro non affrescato di colore grigio-bianco, erano caduti nell’antico luogo di culto pagano, un gioiello dell’archeologia. I pezzi, secondo quanto reso noto, sono stati tutti recuperati, e si sarebbe trattato di un danno non rilevante. Il tempio, situato nella parte settentrionale del Foro, risale al 250 a. C. Nel 79 d. C., quando ci fu l’eruzione che distrusse la città. Era in fase di ristrutturazione resasi necessaria dopo il terremoto del 62 d.C.. Della struttura originaria, hanno resistito al tempo e alle sue incurie il pronao e il corridoio che separa le scalinate dall’entrata al Tempio, di cui restano quattro colonne laterali. Insieme ad esso anche la cella rettangolare con un colonnato interno e tre nicchie sulla parete di fondo destinate a ospitare le statue di culto, secondo l’originaria disposizione quando fu trasformato in Capitolium. Dopo l’80 a.C. vi si venerarono anche Giunone e Minerva, oltre a Giove. Delle statue un tempo custodite resta solo una grande testa di Giove (sul tipo del Giove di Otricoli) ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Dopo il crollo della Domus dei Gladiatori nel 2010, che suscitò enormi polemiche ed ebbe anche un certo impatto mediatico, Pompei è tornata tra i suoi silenziosi scricchiolii. Il crollo dell’intera Domus dei Gladiatori, così chiamata perché al suo interno gli atleti si allenavano e nella quale deponevano le armi all’interno di alcuni incassi ricavati nei muri, scatenò l’opinione pubblica e i politici fecero a gara per dire la loro denunciando l’accaduto.
«Quello che è accaduto a Pompei dobbiamo, tutti, sentirlo come una vergogna per l’Italia» dichiarò il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, commentando il crollo nell’area archeologica. «E chi ha da dare delle spiegazioni – aggiunse – non si sottragga al dovere di darle al più presto e senza ipocrisie».
«Questa mattina presto – spiegarono i custodi – è crollato prima il muro della Domus, e poi, data la pesantezza del soffitto che è in cemento armato, è crollata l’intera Domus dei Gladiatori. Sembra – dissero – che siano state le infiltrazioni d’acqua a causare il danno».
Anche secondo quanto si apprese dalla Sovrintendenza le cause del crollo potevano essere attribuite o alle piogge che avevano creato delle infiltrazioni all’interno di un terrapieno esistente al lato della Schola, oppure al peso del tetto della palestra stessa. La casa, infatti, fu bombardata durante la Seconda guerra mondiale e la copertura fu rifatta tra gli anni ’40 e gli anni ’50. È probabile – fecero sapere dalla Sovrintendenza – che le mura antiche, dopo anni, non abbiano più retto al peso del tetto.
«Sono mesi che denuncio, con articoli ed interrogazioni, il degrado allarmante degli scavi di Pompei. Il gravissimo crollo di stamattina è la dimostrazione che il Governo e il Ministro Bondi hanno sottovaluto la situazione e raccontano, da tempo, un bel po’ di sciocchezze» affermò in una nota Luisa Bossa, deputata del Pd ed ex sindaco di Ercolano. «Quando abbiamo posto la questione del degrado negli scavi – dice la Bossa – Bondi ha risposto in modo piccato e risentito, difendendo il lavoro dei suoi commissari. Il crollo della Domus dei gladiatori è la drammatica, ma inevitabile, risposta a chi pensa che governare significhi raccontare una balla al giorno, attaccando chi a quella balla non crede perché le cose va a guardarle con i suoi occhi. La situazione dei siti archeologici in Campania è drammatica».
Anche il sindaco di Pompei Claudio d’Alessio espresse il suo disappunto senza mezzi termini: «Questa ennesima brutta notizia poteva essere evitata». Il cedimento dell’edificio, secondo d’Alessio, fu un crollo annunciato: «succede quando non c’è la dovuta attenzione e cura» per un patrimonio secolare che andrebbe «preservato da ogni tipo di sollecitazione, anche atmosferica. C’è il dispiacere tipico di una comunità – sottolineò il sindaco – di un territorio su cui vi è il museo all’aperto più grande del mondo e che purtroppo viene trascurato».
«Questo ennesimo caso di dissesto ripropone il tema della tutela del patrimonio culturale e quindi della necessità di disporre di risorse adeguate e di provvedere a quella manutenzione ordinaria che non facciamo più da almeno mezzo secolo» disse invece Roberto Cecchi, segretario generale dell’ex Ministero per i Beni e le Attività Culturali Sandro Bondi. «La cura di un patrimonio delle dimensioni di quello di Pompei – aggiunse Cecchi – e di quello nazionale non lo si può affidare ad interventi episodici ed eclatanti. La soluzione è la cura quotidiana, come si è iniziato a fare per l’area archeologica centrale di Roma e per la stessa Pompei».
Come riportato da Luca Del Fra de L’Unità, circa due anni fa, dopo i crolli reiterati, mentre l’allora ministro Bondi incolpava la sinistra dei disastri, una commissione dell’Unesco era piombata nell’area archeologica per capire cosa davvero stesse succedendo. La relazione Unesco bocciò l’opera di Marcello Fiori, commissario straordinario voluto da Bondi reperito dalla Protezione civile: in generale per la mancanza di manutenzione e di conservazione, e in particolare individuando le cause dei crolli nella mancata irregimentazione della acqua piovana; giudicò inutili e avventati i lavori promossi da Fiori per valorizzare il sito, come l’orribile rifacimento del teatro nuovo.
Tra gli ispettori Unesco c’era Alix Barbet, l’insigne archeologa esperta in pitture dell’età romana: non le sfuggì la mancanza di alcuni affreschi smontati dalle collocazioni originali e ne chiese conto, ma nessuno seppe rispondere. Si recò in questura e fece un esposto: gli affreschi vennero rintracciati in un magazzino, dove furono evidentemente «dimenticati».
La relazione dell’Unesco si concluse con 19 raccomandazioni di fuoco allo Stato italiano: più di tutte bruciò l’accusa di non aver capito l’importanza universale di Pompei. L’Unesco infatti non protegge siti belli o di per sé importanti e suggestivi, ma ciò che ha valore per tutta l’umanità e il cui significato deve essere conservato e non disperso.
Torneranno nel 2013 gli ispettori dell’Unesco, ma la lezione proprio non sembra essere servita. Nel frattempo, si sono limitati a segnalare una situazione di progressivo degrado e una decina di Domus in immediato pericolo.
Impressionati dalla situazione di Pompei, gli ispettori dell’Unesco già due anni fa contattarono le fondazioni internazionali dedite al mecenatismo: si interesso la Fondazione Défense, una cordata di imprenditori che può godere di agevolazioni fiscali per gli investimenti in cultura non solo in Francia ma in tutta la Ue. Si parlò di 200 milioni di euro e, improvvisamente, scese subito in campo un’altra cordata, di imprenditori napoletani questa volta: soldi zero, ma disposti a realizzare a pagamento – con i soldi dei loro colleghi francesi, che faranno bene a stare molto attenti – una serie di opere intorno al sito: alberghi, ristoranti, centri commerciali, info-point e vai così.
Il rischio di cementificazione intorno al sito è tutt’ora reale: sempre il decreto «Salva Pompei» prevede infatti che interventi cosiddetti urgenti «all’esterno del perimetro delle aree archeologiche (di Pompei) possono essere realizzati in deroga alla pianificazione urbanistica».
Dopo tutto questo putiferio è tornata la “quiete”. Ma la situazione non sembra essere affatto migliorata. Anzi, i crolli continuino ogni giorno a smantellare un patrimonio culturale assoluto italiano e dell’umanità, uno dei siti archeologici più famosi al mondo.
Ricordando che c’è sempre colui che riesce a lucrare, anche sulle ceneri di qualcosa che in passato fu grande, concludo con la previsione di Luca del Fra, sperando tanto che si sbagli.
Pompei anno 2016: un anello di cemento, fatto di alberghi, centri commerciali e benessere con altisonanti nomi tipo Hotel Polibio, Epicurus Lounge, Resort Casti Amanti, circonda una area ex archeologica oramai ridotta a discarica del passato.
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